Sul sito di Rolling Stone Italia è possibile leggere un’intervista fatta alla band.
L’intervistatore ha parlato telefonicamente con Brian riguardo le loro influenze, la loro affermazione nel panorama musicale, cosa hanno ascolato prima di registrare il nuovo album, le nuove canzoni, di droga.
C’è un motivo ben preciso per cui quel burbero di Joe Perry degli Aerosmith nel 1979 scrisse un pezzo intitolato Let the Music Do the Talking: i chitarristi, di solito, non parlano. Lasciano che siano le loro chitarre a farlo, e cavare loro due parole di bocca a volte può essere veramente difficile. Quando mi sono trovato al telefono con Synyster Gates, chitarrista prodigio degli Avenged Sevenfold – oggi come oggi di sicuro la metal band con il più grosso razzo nel sedere puntato verso il successo mondiale – non è stata esattamente una passeggiata. Synyster è un tipo concreto e certe cazzate tipiche dell’approccio “à la Rolling Stone” non sembravano aver particolarmente effetto, ma alla fine ci ha raccontato un sacco di cose, e il nostro appuntamento al buio è stato meno imbarazzante di quanto sembrava all’inizio. Se ci rivedremo? Chi lo sa? Voi che ne dite?
Siete stai in giro da almeno 14 anni, quanto è stato difficile affermarvi come band nel panorama musicale odierno?
“Non sono mica sicuro se davvero siamo in giro da così tanto tempo…”.Io si, avete fondato la band nel 1999!
“Ah, ok, grazie… Ad ogni modo: per certi versi è più difficile, per altri più facile. Il nostro caso poi è abbastanza unico: siamo cresciuti assieme, ci conosciamo tutti da quando abbiamo 10 anni, siamo come fratelli. Mia moglie e quella di Shadows sono addirittura sorelle, siamo stati fortunati. Riguardo a come affermarsi ai giorni nostri, beh, i social network ti danno un aiuto incredibile, ti mettono in contatto con altri musicisti, con i promoter per organizzare date: mettere le basi è sicuramente più facile”.Sono anni che si parla di voi come la band che prenderà il posto dei Metallica nel cuore dei fan del metal. Che effetto vi fa essere considerati ancora la “next big thing” dopo quasi tre lustri di carriera, quando proprio ai Metallica ce ne volle soltanto uno?
“Di questa cosa se ne parla da un sacco di tempo, e sicuramente per noi è un onore essere considerati come la band che un giorno potrebbe ricevere il testimone dai Metallica. Per ora sono ancora in giro e lo fanno alla grande quindi noi ci preoccupiamo di provare a riuscire facendo le cose a modo nostro, suonare la nostra musica per i nostri fan. E se c’è una cosa di cui sono sicuro è che siano i migliori al mondo, sono incredibili”.Prima di registrare Hail to the King vi sottoposti a una dieta rigorosissima a base di Black Sabbath e Led Zeppelin. Se però non ho difficoltà a sentire traccia dei primi, invece non riesco proprio a cogliere l’influenza secondi sull’album…
“Io sono cresciuto ascoltando i Led Zeppelin: si sente nel mio modo di suonare, ma quello che avevamo in mente era provare a cogliere l’idea che sta dietro la loro musica. Volevamo che Hail to the King suonasse come un vero e proprio classico del rock. Zeppelin e Sabbath sono stati i migliori nel creare riff incredibili, li tiravano giù e li seguivano come il Vangelo. Noi non lo abbiamo fatto quasi mai, e invece stavolta volevamo proprio quell’effetto alla AC/DC: un gran riff che rimbombasse come dentro uno spazio enorme, con una batteria gigantesca, voci pazzesche e assoli fuori dal mondo. Senza feeling non riesci ad ottenere quel tipo di groove, quel tipo di effetto che – quando sei lì che suoni dal vivo – ti emoziona al punto da non riuscire a non saltare da tutte le parti come una molla impazzita. Questa è la filosofia che sta dietro Hail to the King. Musicalmente non potevamo certo metterci a scrivere il solito blues: è già stato fatto migliaia di volte. Quindi abbiamo deciso di prendere ispirazione dalla musica classica per arrangiamenti, melodia e cose di quel tipo”.Il mio pezzo preferito dell’album, proprio per il suo arrangiamento e l’uso dei fiati, è Planets. Sarà meno metal ma è comunque figo…
“Grazie… Beh, di sicuro è il pezzo più progressive dell’album, anche se tutte le tracce sono scritte in funzione del groove. Secondo me nel Dna degli Avenged Sevenfold c’è una vena progressive importante, e qui volevamo che venisse fuori, lasciando campo libero a tutte le nostre influenze più classiche. L’immagine che avevamo in mente era quella di un conflitto intergalattico completo di meteoriti e scenari apocalittici, e volevamo proprio che richiamasse un’idea cinematografica. È stato divertente scriverla, è sicuramente il mio pezzo preferito del disco, e poi si fonde con Acid Rain, l’ultima canzone dell’album, che parla di come ci si sente dopo aver combattuto questa guerra intergalattica e averla persa, quando sei lì con la tua anima gemella e sai che state per essere spazzati via dalla faccia della Terra”.Ma questa svolta prog da dove viene? È tutta colpa di Mike Portnoy [leggendario batterista dei Dream Theater, nda]?
“No, lui è stato con noi per circa un anno, subito dopo l’uscita di Nightmare. Ci ha dato una mano enorme a rimetterci in careggiata dopo la morte di The Rev. Mike, ma più che allargare i nostri orizzonti musicali ci ha fatto scoprire un sacco di serie televisive, un vero grande”.Hail to the King non ha un singolo pazzesco come Bat Country, però suona molto coeso, molto omogeneo, è una cosa voluta?
“Assolutamente. Quando registriamo un nuovo album, finisce che scriviamo materiale per almeno quattro, e poi scegliamo i pezzi che funzionano meglio nell’economia globale del disco. Ascoltare un Lp è sempre un lungo viaggio, e non vogliamo che sia un’esperienza stagnante dove all’improvviso – in coincidenza del singolo – c’è uno sprazzo di verve ed energia… In questo caso abbiamo un disco molto progressive con tante piccole figate in ogni canzone”.Come gli Slayer avete debuttato con un’etichetta non specializzata nel vostro genere: loro su Def Jam, l’etichetta hip hop per antonomasia, voi su Hopeless Records, una delle più importanti label della scena punk americana. Come vi siete trovati?
“Bene, sono sempre stati molto fighi con noi mentre eravamo con loro, ma poi le cose hanno smesso di funzionare, così nel 2004 siamo passati alla Warner che – a differenza delle altre major – ci ha garantito il 100% di libertà artistica. La Hopeless ci dava meno controllo, alla Warner invece ci hanno permesso di coltivare la crescita artistica della band. Ormai sono anni che siamo con loro: per noi è l’etichetta perfetta”.
Volevo chiudere parlando dell’argomento “droga ricreativa”. Il vostro ex bassista, Justin Sane, tentò il suicidio tracannandosi un’intera bottiglia di sciroppo per la tosse alla codeina, il vostro batterista è morto per un cocktail mortale di alcol e oppiacei. Mentre la scena metal ha praticamente smesso di esaltare il consumo di droga, quella hip hop è piena di rapper come Lil’ Wayne che ostentano il consumo di Sizzurp, un cocktail fatto di sciroppo per la tosse e Sprite. Che ne pensi?
“L’hip hop fa proprio questo, glorificare gli istinti più elementari: sesso, droga, violenza… Cosa ne penso? Non ho nessuna opinione particolare sull’hip hop, ma se avessi un figlio probabilmente dovrei assumerne una. Se mio figlio volesse ascoltare quella roba gli direi che per divertirsi è ok, ma di non prenderla sul serio perché la realtà non è così”.
Giada & Tiziana

Amministratrice & webmaster.
Proud Sevenfoldist dal lontano giugno 2007, staffer da febbraio 2008 e boss da dicembre 2013.