Solitamente non postiamo le recensioni personali come notizia, ma questa volta facciamo un’eccezione perchè quello che Daniela ed Elisa hanno vissuto e ci hanno raccontato minuziosamente (con costanti aggiornamenti whatsapp Londra-Italia) dimostra davvero quanto amore incondizionato si possa avere per questa band, e di quanto alle volte, ci voglia solo che la nostra buona stella ci sorrida.
Questa è la storia di due ragazze che per anni si sono fatte anche le notti gelide in fila a Milano e Roma per loro, che hanno fatto street team, aiutato il sito e fatto qualunque cosa per questa band.
E che ora che si sono trasferite in UK hanno cercato di fare lo stesso.
La fortuna le ha ricompensate con un concerto con uno show in prima fila, il secondo con dei biglietti vinti gratuitamente e due bracciali per la signing session.
Sarà che alcuni di noi staffer abbiamo vissuto esperienze simili, fatte di file infinite, viaggi, levataccie, poche ore di sonno e attesa infinita.
Ci siamo passati in situazioni simili e forse per questo abbiamo trovato di una bellezza e di una sincerità disarmante tutto il loro recap e vogliamo dargli lo spazio che si merita.
Perchè queste due ragazze se lo meritano, perchè ricordi ad ognuno di voi che con il tempo, con la pazienza, con la perseveranza e con una dose sfacciata di fortuna, tutti avranno la propria buona occasione: basta provarci sempre e comunque. Arrendersi mai e non considerare mai impossibile anche quello che lo sembra.
DAY ONE.
Questo è un racconto parzialmente a quattro mani ed è il resoconto di quattro giorni intensi, stancanti ma pieni di soddisfazioni. Stamattina mi sono svegliata e, la prima cosa a cui ho pensato, è stato: “li abbiamo abbracciati!”. Ma andiamo con ordine.
Tutto comincia dal giorno in cui abbiamo saputo che ci sarebbe stato un pop-up shop a Londra.
Avevamo i biglietti per il concerto di sabato 21, that’s it. Una di noi due aveva il biglietto aereo per una visita in Italia di una settimana, la domenica mattina.
Poi, leggi che loro saranno qui da un venerdì qualsiasi di gennaio al lunedì successivo e non hai altra scelta che investire parte del tuo stipendio nello spostamento di tutti gli aerei spostabili. E via.
L’attesa di quei quattro giorni inizia.
Quel venerdì mattina arriva.
Ti svegli, ti vesti, parti alla volta di Camden Town (no, ecco, una delle due ha anche avuto tempo di andare a lavorare un paio d’ore! lol) senza sapere neanche bene cosa succederà e come tutto funzionerà. Il negozio apre alle 10 am, ma tu sei lì un’ora prima.
Ti prendi il primo freddo della faticata che ti aspetta. E no, non dirò frasi del tipo “ma tu neanche lo senti”. Perché non sarebbe vero.
Lo senti, tutto, fino ad arrivare a tremare sotto gli strati di abiti. Perché Londra è fredda, porca miseria.
Poi, però, la fila inizia a muoversi e tu, col secondo gruppo da dieci, entri. Loro non ci sono, anche se avevi la piccola speranza che venissero per l’apertura, il primo giorno.
Piccola delusione, ma amen. Spulci quello che hanno scelto per noi, compri due cappellini e due felpe.
Ma soprattutto, trovi Cam Rakam. Carino, gentile, disponibilissimo oltre che talentuoso. Gli chiedi un selfie e lui è felice di farlo.
Lo riprendi mentre dipinge, gli chiedi scherzosamente “where are you friends?” per sentire un, forse, sincero “I don’t know, really”.
Ma non importa, sei ancora all’inizio di tutto e non ci pensi che tu sei lì ma loro no. E Cam è troppo carino per pensare a chi non c’è, piuttosto che alla sua presenza.
Fa “ciao ciao” verso l’obiettivo e via, è finito il tuo tempo. Vai a pagare. E lì ti dicono che, per l’importo speso, hai diritto ad avere uno dei bracciali che ti garantiscono di incontrarli.
Anche se non si sa ancora quando (“probably Monday” –cit-) e come. In quel momento, le parole “signing session”, a noi, non le ha dette nessuno. Ma li vedremo, questo è certo.
Torniamo a casa. Qualche ora più tardi, un’altra piccola delusione perché loro, Matt e Brooks, al negozio il primo giorno, poi, ci sono andati. Ma più tardi, alla chiusura.
Ma ok, tu hai quel bracciale e, quindi, va bene così. Vai a dormire, per essere pronta per l’indomani.
DAY TWO.
Arriva dunque il sabato, l’unico show a cui sai di poter partecipare, perché hai i biglietti solo per quello.
Arrivi lì alle 9 am, perché l’02 arena apre a quell’ora e tu decidi che fa troppo freddo per andar prima (abbiamo dormito per loro davanti i cancelli di notte, ma quei tempi sono finiti perché siamo anziane, lol). Inizia la fila. E prendi altro freddo, perché scopri che l’interno dell’arena non è così riscaldato come pensavi.
Ma fai amicizia, perché con loro condividi una passione e non importa il colore della pelle, quanti anni hai, se sei lì per gli In Flames, per i Disturbed o per gli Avenged Sevenfold.
Sei lì in fila, punto, fai amicizia. Ogni tanto ti ricordi di andare in bagno, ogni tanto ti arriva un rutto da chi si sta scolando litri di birra.
Tutto regolare. Finchè non arriva il momento in cui ti dicono che devi iniziare a muoverti, a fare passi avanti. Allora gli spazi tra chi è in coda si azzerano, tutti schiacciati, tutti in ansia, tutti impazienti.
Ti tolgono il biglietto, ti danno il bracciale, ti fanno i controlli. E non puoi correre, verso le transenne. Questa è Londra, gente.
Qui non corri, qui puoi solo camminare veloce. E tu lo fai, velocissimo, stile marcia olimpica. Ed arrivi, lì.
La transenna è tutta. Posizione centrale. Perfetta. La migliore che tu abbia mai conquistato. Ed abbracci la tua immancabile compagna di concerti, di avventure.
Siamo lì. I primi due gruppi, tra chi ti piace e chi no, passano. Finché, dopo il cambio di palco di rito, le luci ricominciano piano piano a riaccendersi.
Il cubo centrale, gli schermi laterali, tutto riprende vita.
Le luci prima delle note dell’ultima fatica in studio di quei ragazzi che segui da nove e quattordici (le ho detto che secondo me sono di più, ma forse vuole sentirsi più giovane –ndr-) anni.
The stage. Ti è piaciuta dal primo ascolto e, ora che l’ascolti live, ti piace anche di più. E Matt si trova lì davanti, perché hai dei posti meravigliosi.
Ancora qualche centimetro e potresti toccarlo. Se solo fossi l’ispettore Gadget!
Le canzoni scorrono una dopo l’altra troppo veloci, come loro che corrono sul palco, sulla passerella, ma se ne vanno via troppo presto.
Cavolo, li stiamo fotografando solo da 875 angolazioni diverse, non basta mica! Canti a squarcia gola, pensando che l’indomani sarai a letto con l’influenza (per il freddo) e senza voce (per le urla).
Ti passa davanti uno della loro crew, che ti regala due plettri di Zacky, senza motivo. E tu sei felice. Ok, non li ha toccati lui, non te lo ha lanciato lui, ma tu sei felice.
Però, quando arriva Johnny, e ti lancia il suo. E poi, la tua compagna di avventure che lo prende, perché in realtà a lei lo ha lanciato, ma lei sa quanto lui ti piaccia, te lo regala.
Tu lo prendi e ti fai un piantarello di emozione. Anche se hai più di 30 anni te ne dimentichi, ti emozioni per un plettro. Sei una persona semplice, ti basta “poco”.
E’ stato senza dubbio il concerto migliore a cui abbiamo assistito.
Non era la prima volta che conquistavamo la transenna, ma questa volta non solo eravamo centralissime ma la conformazione del palco era tale da concederci di essere più vicine.
E, ammettiamolo, gli altri tre concerti erano stati piuttosto omogenei nella scelta delle canzoni, mentre stavolta c’era la novità del nuovo album.
Sapevamo che non avremmo visto per la quarta volta lo “stesso” concerto, lol.
La canzone più emozionante della data di sabato, è stata sicuramente “The Stage”. Sia per le motivazioni appena dette, la novità, sia perché questa canzone è fantastica.
E’ uno specchio del mondo che viviamo quotidianamente; è un tema che mi ha catturato fin da subito. Ho amato le parole, ho amato il video (ed è bellissimo il fatto che lo proiettino).
Ho amato l’intensità che Matt dona alle parole, ho amato il modo in cui Brian ha fatto cantare la sua chitarra, ho amato tutti loro.
Alla fine del concerto, siamo riuscite ad avere ben due setlist (una dalla security ed una da Matt). Bottino del primo concerto: un plettro, due setlist.
Soddisfatte, ma rattristate dall’idea che non li avremmo visti in concerto per un po’, ce ne siamo andate mestamente a casa.
DAY THREE.
La domenica mattina, eravamo ancora prese dal depressione post-concerto che è sicuramente tipica di chi ama questo tipo di eventi.
Eravamo in cucina, a bere il nostro caffè, a messaggiare per non ricordo quale motivo con la nostra Giada.
Avendo le notifiche attive delle varie pagine social della band, non appena compare sul mio Iphone “avengedsevenfold ha pubblicato qualcosa”, apro in un lampo.
E lì, si apre un immagine con i vincitori della lotteria (il venerdì, infatti, avevamo potuto riempire un foglietto con i nostri nomi e recapiti da infilare in una palla di vetro; ci avevano spiegato che avrebbero estratto dei nomi per alcuni premi). Il disegno di tre biglietti da lotteria era sotto un deathbat con la bombetta tipica inglese. E sul terzo biglietto, c’era il nome della mia compagna di viaggio.
Nome e cognome, scritto nero su rosa (che scelta di colore pezzotta, ndr).
Comincio a gridare, presa da un momento di labirintite e stupidità: “Hai vinto! Hai vinto qualcosa, ma non so cosa!!” nonostante fosse scritto lì, decisamente chiaro.
E la stessa cosa dico tramite messaggio vocale a Giada. E lei, donna paziente come poche, mi risponde e mi spiega.
E noi, iniziamo a saltare, a gridare, a gioire. E corriamo di sopra. Ci vestiamo, ci trucchiamo come capita e ripartiamo alla volta dell’02 arena.
Ancora attesa, ancora fila, ancora freddo.
Peraltro inutilmente, stavolta, perché quando il botteghino ha aperto abbiamo scoperto che i biglietti erano a sedere.
Li preleviamo ed andiamo alla scoperta. Una marea di strada, che ci preoccupa anche un po’ riguardo la posizione. Ma io continuo a dire all’altra metà del nostro duo: “e vabè, dai, ci goderemo la musica. Abbiamo già visto le ascelle di Matt ieri, da vicino”. Ma tutta quella strada, in realtà, ci ha portato dritte dritte al lato destro del palco. Ancora una volte vicinissime. Ok, laterali, ma vicinissime.
Loro, infatti, usano quella parte di palco piuttosto spesso. Non Matt, purtroppo, ma Zacky, Brian e Johnny (soprattutto quest’ultimo) passano gran parte del tempo lì.
Quanto meno nella data di domenica. Potevamo vedere il sotto del palco dalla nostra posizione, ed abbiamo quindi avuto modo di vedere Val, Michelle e River.
Li abbiamo chiamati, salutati; ci hanno risposto e sorriso. Simpatico siparietto Val che invita River a guardare suo padre sul palco e lui si gira dall’altra parte.
La scaletta della seconda serata è stata più o meno la stessa della sera precedente, tranne per la magnifica sorpresa di “Second Heartbeat”.
Un po’ meno magnifico l’inserimento di “So far away” che non è mai stato uno dei miei brani preferiti, ma c’è da ammettere che il momento è stato bello.
Luci spente, tutti i telefoni in alto con le torce accese ed ovviamente il significato di quel brano riempiva l’aria come una pioggerella talmente sottile che non vedi, ma percepisci perché ti colpisce invisibile. Forse non tutti, in realtà, possono capire cosa voglia davvero dire sentire Matt nominare Jimmy ma, noi facciamo parte di quelle persone che ancora sono ancorate alla formazione originale degli Avenged Sevenfold. Soprattutto una di noi due. Per questo, prima di questi concerti, Brooks era una presenza poco considerata da noi. Anche un po’ infastidite, se così si può dire, da come sia sempre con Matt come se fosse un Sevenfold più lui che gli altri tre componenti. Ma, decisamente, l’idea al momento è cambiata.
Ed ancora è stato apprezzato l’inserimento di “The beast and the Harlot”.
Da quella posizione abbiamo visto benissimo Synyster che su “A little piece of heaven”, se ne è stato almeno due minuti a mostrare le dita medie a non si sa bene chi, facendoci fare grasse risate.
Così come è stato bello vedere il modo in cui Synyster, Zacky e Johnny giocano sul palco. E’ stato un concerto diverso dal precedente, perché vissuto meno selvaggiamente, quindi più goduto (a livello di comodità). Senza contare la gioia che si può provare nell’essere lì, quando non dovevi esserci, grazie ad una vincita.
A noi piace pensare che qualcuno, già citato qualche riga sopra, abbia pensato “e annamo va, damoglieli du’ biglietti a ‘ste due poracce che hanno fatto tanto negli anni per i miei quattro amici fessi”. Perché, sì, nel frattempo avrà anche imparato il romano ovviamente.
DAY FOUR.
Ultimo giorno, lunedì. Poiché gli Avenged ogni tanto peccano in organizzazione, tutto ciò che sapevamo è che quel giorno ci sarebbe stata una “signing session”.
Niente orario, niente informazioni più dettagliate. E di nuovo, sveglia presto. Eravamo pronte ad uscire di casa, quando è arrivata la notizia sarebbe iniziato tutto alle 18.
Chiaramente, alle 16 eravamo comunque già lì.
Per farsi perdonare il poco preavviso, hanno distribuito tranci di pizza a tutti noi già in coda.
Abbiamo apprezzato meno le notizie che i selfies non erano permessi e che avremmo dovuto scegliere solo una cosa da farci autografare, ma l’importante era vederli.
Le 18 arrivano, loro no.
Ma avevo avvisato quelli in fila con me, che i nostri ragazzi non sono mai in orario. Con un ritardo di mezz’ora, finalmente sentiamo la folla gridare e, poco dopo, Synyster spuntare in un punto in alto. Ancora qualche minuto ed il primo gruppo di venti persone stava entrando. Noi comprese.
Erano seduti ad un tavolo; in ordine: Brooks, Johnny, Brian, Zacky, Matt.
Per quanto riguarda me, mi sono concentrata più sulla conversazione che sulla richiesta di abbracci (cosa che invece ha fatto l’altra metà del duo #finalmentenagioia).
Ho detto a Brooks, tra le altre cose, “Welcome to the family”. Ho rimproverato Johnny per non avermi dato il suo plettro e lui mi ha chiesto scusa.
Gli ho detto altre cose, che tengo per me e per le persone a cui ho voluto raccontarle, lol.
Ho scoperto con piacere quanto sia carino e disponibile Zacky, anche nel registrare un video per un’amica (video che puntualmente ho sbagliato a registrare, facendo partire il video da DOPO e registrando quindi la fine della conversazione con lui e l’inizio di quella con Matt). Ho stretto la mano di tutti, mentre la mia amica ha abbracciato alcuni di loro.
E poi, Matt. Non voglio inserire niente che abbia a che fare con gli ormoni, in questo resoconto, perché non è questo che mi interessa della band ma.. ragazzi, fatevelo dire che da vicino è talmente bello che ti toglie il fiato. E non è solo il fisico, non sono i tatuaggi o l’oggettivamente bel viso, ma sono gli occhi.
La mia amica dice che gli brillano. Ed è vero. E’ una di quelle persone che ti guarda e ti spiazza e, probabilmente, quegli occhi farebbero lo stesso effetto anche se tutt’attorno ci fosse qualcosa di meno apprezzabile. Ed il sorriso. Un omone, col sorriso buono. Con quelle fossette che spuntano dalla barbetta, che ti fanno balbettare.
Purtroppo, il loro uomo della security mi ha fatto passare oltre prima di poterlo abbracciare ma.. la prossima volta.
Quell’incontro non ci è bastato. Eravamo già pronte alla fermata dell’autobus e ci siamo dette “ma siamo sicure di quello che stiamo facendo?”. Siamo tornate indietro.
Per concludere un’avventura iniziata prendendo freddo, l’abbiamo conclusa allo stesso modo.
Li abbiamo aspettati per vederli di nuovo, così vicini. E finalmente, mentre andavano alle macchine, dopo che la mia amica per tutto il tempo mi ha detto “ma perché non gli hai chiesto di abbracciarli? Ma che te ne importa della security?”, finalmente ho messo le mie braccia attorno a Johnny. Sono stati tutti carini, tranne Brian che ha preferito rintanarsi subito in macchina con il suo bicchiere di vino.
Ma una delle due lo aveva già abbracciato durante la signing session, quindi va bene così.
Adesso, dopo qualche giorno trascorso, ancora pensiamo a quei momenti.
Si può sentire la mancanza dei membri di una band, di ragazzi che non conosci? Sì, perché negli anni ci hanno dato tanto.
Ogni volta era una delusione, sempre senza occasione di vederli da vicino, di scambiare due parole.
Adesso è successo e, tutto quello che ci hanno dato negli anni, le emozioni, l’esserci accanto nel bene e nel male tramite la loro musica, si sono amplificate.
Quelle voci, le mani calde, i sorrisi, le risate fatte insieme in quei pochi minuti, resteranno indelebili nella nostra mente.
Daniela ed Elisa.
(trovate foto e video da loro scattati in tutti gli speciali:
Pop Up store di Londra & Signing session / Londra 21-1-2017 / Londra 22-1-2017 / le loro foto con Johnny, Brian e Brooks sul nostro Flickr.)
PS: (da amica e non da admin) vi voglio bene e solo dio sa quanto vi siate meritate questi 4 fantastici giorni. Siete l’esempio del non arrendersi mai e non darsi mai mai mai per vinte.
giada
Amministratrice & webmaster.
Proud Sevenfoldist dal lontano giugno 2007, staffer da febbraio 2008 e boss da dicembre 2013.