“Se questa breve storia ci insegna qualcosa è che l’uomo nella sua ricerca della conoscenza e del progresso da prova di grande determinazione e non è possibile dissuaderlo dalla propria impresa. L’esplorazione dello spazio proseguirà che noi partecipiamo oppure no e, rappresenta una delle grandi avventure di tutti i tempi; nessuna nazione che aspiri al ruolo guida rispetto alle altre può pensare di restare in disparte nella corsa allo spazio. Gli occhi del mondo guardano ormai verso lo spazio, la luna e i pianeti che vi sono oltre ad essa…”
John F. Kennedy diede il via con testuali parole, il 25 maggio del 1962, alla corsa alla luna, uno degli obiettivi più ambiti e ardui della storia.
La corsa allo spazio è sempre stata una priorità imperante per lo sviluppo tecnologico delle grandi nazioni, in particolare negli anni ‘60 durante la guerra fredda, dove le due superpotenze mondiali, USA e URSS, erano costantemente in competizione per chi riuscisse a raggiungere per primo tale obiettivo (inizialmente la decisione di fondare la NASA fu una conseguenza dettata dall’esigenza di rispondere alla sfida dell’Unione Sovietica che lanciò in orbita il primo satellite artificiale).
Nasce così il primo compito dell’agenzia governativa responsabile del programma spaziale degli Stati Uniti d’America, il “programma Mercury” che aveva lo scopo di mandare un messaggero terrestre nello spazio, lanciando un satellite in orbita con equipaggio umano per studiare le capacità umane di rispondere ad ambiente spaziale.
Il 25 maggio del 1962 il presidente statunitense J.F.K. annunciò che sarebbero riusciti a mandare i propri astronauti sulla Luna entro la fine di quel decennio, grazie al progetto Gemini che con lo scopo di sperimentare tutte le tecniche necessarie sarebbe stato in grado di fornire al già avviato progetto Apollo tutto il necessario.
L’uomo sulla Luna era ormai diventato il “sogno americano” dettando una nuova era con nuovi investimenti nel campo spaziale.
Il 27 gennaio del 1967 si svolge l’esercitazione per prepararsi al primo volo ufficiale del programma Apollo, questo giorno rimarrà alla storia come la prima tragedia del programma spaziale della NASA.
La missione AS-204 doveva essere solo il primo volo di prova dotato di equipaggio con un modulo di comando e di servizio, ma la navicella presentava già dei problemi di comunicazione e di valori alterati del flusso di ossigeno facendo automaticamente attivare l’allarme.
Descrivere l’incidente in “20 secondi di inferno” per quanto crudele sembri, tanto veritiero è, all’interno della capsula esplose un incendio, le fiamme a contatto con l’ossigeno puro innescarono una trappola mortale per i tre astronauti; la comunicazione con la base si concluse con un grido di dolore.
Pre-flight demonstration. Led to desperate voices fueled by flames.
L’equipaggio non ebbe possibilità di fuggire in quando le serrature del portellone della navicella con apertura interna nelle condizioni migliori impiegavano 90 secondi per depressurizzare il modulo ed uscire.
Nel luogo dove scoppiò l’incendio sono presenti due targhe in memoria dei tre astronauti che citano:
“«COMPLESSO DI LANCIO 34. Venerdì, 27 gennaio 1967. Ore 18:31.
Dedicato alla memoria dell’equipaggio dell’Apollo 1:
U.S.A.F. Lt. Colonnello Virgil I. Grissom, U.S.A.F. Lt. Colonnello Edward H. White, II; U.S.N. Lt. Comandante Roger B. Chaffee. – Diedero la loro vita al servizio del loro paese per la continua esplorazione della frontiera finale dell’umanità. Non siano ricordati per la loro morte, ma per gli ideali per cui hanno vissuto.» ”
La seconda targa invece cita:
“In memoria di coloro che hanno reso l’ultimo sacrificio perché altri potessero raggiungere le stelle.
Buon viaggio all’equipaggio dell’Apollo I”.
L’Apollo 1 non fu l’unico incidente tragico nella storia Americana, protagonista di questa seconda parte nel 1981 fu lo Space Shuttle, un sistema basato sul lancio di due razzi recuperabili e su un serbatoio a perdere.
Il programma fu stoppato in conseguenza dei due tragici incidenti avvenuti.
La mattina del 28 gennaio del 1986 lo Space Shuttle Challenger si disintegrò dopo 73 secondi dal lancio per un guasto ad una guarnizione del razzo, la rottura della guarnizione provocò un cedimento strutturale del serbatoio esterno contenente idrogeno e ossigeno liquido.
Con la rottura del serbatoio esterno, il Challenger, venne avvolto completamente nel fuoco esplosivo.
La capsula contenente l’equipaggio proseguì la traiettoria per poi schiantarsi sull’oceano, per i 7 astronauti a bordo non ci fu scampo. I frammenti sono stati poi recuperati al largo della costa della Florida centrale.
Il lancio fu trasmesso in diretta TV ed è tuttora ricordato come uno dei momenti più bui della storia della Nasa.
Il 1° febbraio del 2003 nei cieli del Texas, lo Shuttle Columbia era di ritorno da una missione di ricerca nell’orbita della terra.
Al momento del suo ingresso nell’atmosfera terrestre, 16 minuti prima dell’ora prevista per l’atterraggio, la navetta spaziale si disintegrò, tutti e 7 i membri dell’equipaggio persero la vita. Fu la seconda volta che uno Space Shuttle veniva perso durante una missione: non fu solo l’America protagonista di diverse tragedie spaziali, esistono diverse storie tragiche, anche di uomini consapevoli di sacrificarsi per il proprio paese.
Viaggiare nello spazio è sempre stato raffigurato come “un sogno”, ma essere un astronauta significa anche preoccuparsi e sperare che tutto vada al meglio, Alan Bean (Apollo 12) nel documentario “In the Shadow of the Moon” racconta che nonostante tu possa considerarti uno degli astronauti più coraggiosi, arriva un momento in cui, nell’oscurità del cosmo, guardando fuori dal finestrino della navicella ti ritrovi a pensare “se questa finestra esplodesse, morirei in un secondo”, perché la morte è proprio di fronte a te a un centimetro di distanza.
Higher racconta la storia di un uomo, un superstite che dopo aver perso i suoi migliori amici ha desiderato per tutta la vita di tornare nello spazio e lasciarsi morire là.
La canzone affronta tematiche molto profonde, analizza stati d’animo come solitudine, sgomento, distacco e allontanamento dalla realtà, il sentimento della perdita e desiderio di ricongiungimento intraprendendo un viaggio verso la deriva nella parte più alta, pura e luminosa dello spazio, oltre al limite dell’atmosfera terrestre.
Psicologicamente l’uomo si è sempre dovuto confrontare con la realtà della morte e l’angoscia che ne deriva, anche se, spesso la morte non è il peggiore dei mali, anzi, può essere addirittura desiderabile.
Tutte le persone prima o poi devono rapportarsi con l’esperienza della perdita di qualcuno di importante, esse possono essere classificate come perdite doppie, dove oltre che alle persone care ci vediamo costretti a rinunciare a una parte di noi stessi, ci sentiamo più soli, diversi, smarriti.
Il sentimento della perdita rappresenta il tentativo di tornare all’unità, il mantenere una connessione, il vuoto che percepiamo tendiamo a conservarlo, poiché rimane l’unica cosa in grado di tenerci in contatto con la persona perduta:
Onward to see you, my friend / Promise to see you again.
Il tutto connesso ulteriormente da stati d’animo di cui senso di colpa e senso di oppressione:
Freed of the world, shed of the weight
Lo spazio è spesso utilizzato come una metafora, è un tema che analizza i diversi aspetti scientifici e morali tra cui la religione, la filosofia, la letteratura e la psicoanalisi, concetti in contrasto tra concreto ed astratto, di cui noi essere umani abbiamo il forte desiderio di distinguere e collocare.
La canzone appunto racconta di un viaggio, una specie di passaggio dalla terra all’aldilà, dove l’astronauta andrà alla deriva della sua vita ultraterrena, affrontando un processo di raccolta di informazioni e sensazioni, andando incontro ad un sonno eterno nell’ allusione che dona quiete e tranquillità nell’etere.
There you find me drifting in the ether within the lull.
L’etere e il suo significato dipendono ovviamente dal contesto, l’etere può riferirsi a ciò che non è noto, “nell’etere” può significare “entrare nell’ inconoscibile” ovvero ciò non può essere conosciuto dalla mente dell’uomo; oppure nel senso filosofico l’etere si riferisce all’essenza dell’universo. Una “piscina” di energia da cui l’universo proviene o viene alimentato.
Per quanto estremamente vasto, spaventoso e romantico lo spazio cosmico risulti, Tom Wolfe si chiedeva “che cosa rende un uomo disposto a sedersi in cima a un enorme fuoco d’artificio?”.
Nello spazio sviluppi una coscienza globale immediata, un sentimento verso le persone, un’intensa insoddisfazione verso la situazione del mondo e una compulsione a fare qualcosa per questo.
Non esistono abbastanza parole che riescano a racchiudere l’esperienza di essere un astronauta in missione, di guardare con i propri occhi un immenso cielo nero pece e vedere il proprio pianeta chiamato “casa” come un piccolo cerchio blu lontano; poggiare il piede sulla superficie lunare, toccare le sue pietre, assaporare il panico e lo splendore dell’evento, sentire in fondo allo stomaco la separazione dalla terra.
Neil Armstrong guardando la Terra nel 1969 ammise di sentirsi piccolo, molto piccolo quando d’improvviso il pianeta Terra appariva un piccolo puntino, bello e blu.
O Gagarin che osservando la terra dall’astronave la trovò bellissima, senza frontiere né confini. Perché mai come nello spazio ti accorgi che i confini non esistono. Dall’alto esiste solo un reticolo di luci, di collegamenti, i cui confini sono solo dentro le menti delle persone.
– A cura di Silvia
Disclaimer:
gli approfondimenti sui testi presenti su questo sito sono analisi e riflessioni personali dello staff dell’A7X Italia atte a intraprendere spunti di confronto con gli altri fans sui temi affrontati dalla band nelle loro canzoni.
Premesso questo vi ricordiamo quindi che non vadano considerate “verità assolute” e che possono essere condivise o meno. Se interpretate il testo in un altro modo saremo lieti di ascoltare la vostra chiave di lettura 🙂